Presentazione di CESURA
Barcelona, Reial Acadèmia de Bones Lletres, 23 febbraio 2018
Testi letti durante la presentazione
Francisco Rico, Presidente onorario
Quando, circa un anno fa, i fondatori di CESURA mi proposero di essere loro Presidente onorario, accettai senza esitare. Certo, conoscevo per prova, di persona o attraverso gli scritti, il valore scientifico di alcuni di loro, ma soprattutto riconobbi nel progetto, nella metodologia e negli obiettivi della costituenda Associazione, l’aroma inconfondibile della ricerca innovativa, multidisciplinare, a tutto campo. CESURA si presenta, infatti, esplicitamente come un progetto trasversale e interdisciplinare, che mira ad approfondire un settore della storia culturale europea – il sud Italia aragonese del Rinascimento – non ancora riconosciuto nella sua dimensione mediterranea ed europea, anche se oggetto di un intenso interesse storiografico da ormai quasi mezzo secolo. Diverse discipline – dalla storia medievale alla storia dell’arte, passando per la filologia medioevale e umanistica, la storia della lingua o la letteratura italiana – avevano realizzato rilevanti progressi settoriali e raggiunto risultati che di per sé richiedevano lo “sconfinamento” nelle discipline sorelle: sicché quasi naturale è stata la convergenza delle diverse linee di ricerca, cristallizzatasi in questi ultimi anni intorno a un’università prestigiosa come la Federico II di Napoli, ma con l’apporto di altri centri ed esperienze e intense connessioni internazionali – come si apprezza oggi, in questa felice occasione.
La vocazione di CESURA, direi il suo DNA, sta necessariamente nella tendenza metodica, dichiarata fin dall’acronimo, a mettere in discussione tópoi storiografici consolidati, sia per ciò che riguarda l’apporto del Regno di Napoli alla costruzione dello Stato moderno e della moderna nozione di sovranità – attraverso l’esperienza di governo dei suoi sovrani e una raffinata trattatistica etica e politica – sia in relazione al peso della sua cultura specificamente umanistica – nel campo delle arti e delle scienze –, nel contesto del più generale fenomeno dell’umanesimo italiano, con risultati ad oggi già significativi, ma che, potenzialmente, promettono di ridisegnare l’intera mappa della parabola umanistica nell’Italia del Quattrocento, con ricadute sul ruolo e il peso di altri centri, Firenze e Roma comprese. Una linea di revisione storiografica coraggiosa e non priva di possibili momenti di frizione.
Del resto, dalla capacità di generare dibattito, di provocare idee, in una parola: di ripensare la Storia, dipenderà il successo di CESURA. Ne ha tutti crismi.
Fulvio Delle Donne, Presidente
Il gruppo di studiosi – studiosi internazionali, che vengono da ogni parte d’Europa e anche dagli Stati Uniti d’America – che ha dato vita a CESURA concentra l’attenzione soprattutto sulla parte “italiana” della Corona d’Aragona, ma, come dimostra questo convegno, la Corona d’Aragona era una sorta di Commonwealth che consentiva vivaci scambi e interferenze culturali: il Mediterraneo, alla metà del XV secolo, era un lago catalano e ciò che capitava su una sponda veniva trasmesso anche altrove. L’idea ci era chiara già nel momento in cui, nel 2014, avevamo organizzato con Jaume Torró un convegno su L’immagine di Alfonso il Magnanimo tra letteratura e storia, tra Corona d’Aragona e Italia – La imatge d’Alfons el Magnànim en la literatura i la historiografia entre la Corona d’Aragó i Itàlia. Un convegno che ha mantenuto il doppio titolo, in italiano e in catalano, anche nel volume a stampa, proprio per rendere evidente la necessità di un approccio multiculturale per comprendere alcuni fenomeni che ci interessano. Da allora, il gruppo di CESURA ha cercato di intensificare l’attenzione su alcune specifiche tematiche, arrivando a risultati assai innovativi, che in Italia hanno costituito una rivoluzione storiografica come ha scritto con benevolenza un autorevole collega.
La nostra indagine è partita dall’osservazione dell’età di Alfonso il Magnanimo, nella quale sono evidentissimi i rapporti tra le due sponde del Mediterraneo-Lago Catalano. Proprio le interferenze culturali in quel momento sono evidenti, perché si incrociano e si sovrappongono le tradizioni provenienti dalla Penisola iberica con quelle “umanistiche” italiane. Un esempio che mi è particolarmente caro è offerto nella storiografia da Gaspar Pelegrí, che, oramai è certo, proveniva da Montblanc, nella regione di Tarragona, dove, probabilmente, nacque nell’ultimo decennio del XIV secolo. Dato, questo, che ci permette di caratterizzare la sua Historia come il perfetto anello di congiunzione tra due tradizioni: quella più specificamente dinastico-celebrativa, di matrice iberica, e quella più umanisticamente ricercata, in latino, di matrice italica, forgiata con la lettura e la meditazione della classicità, al cui modello si ispirava nel sogno di conformarsi pienamente ad essa.
Partendo da Pelegrí, gli esiti a cui si giunse in Italia meridionale furono decisamente innovativi, dal momento che ogni precedente possibile esperienza (italiana o “iberica”) subì le trasformazioni apportate da quegli intellettuali italiani attivi alla corte del Magnanimo, come, soprattutto, il Panormita, Bartolomeo Facio, Lorenzo Valla e, più tardi, Giovanni Pontano, che si erano formati sulla lettura e sulla meditazione dei classici antichi, e che fissarono, per la prima volta, le regole del genere storiografico.
Chi studia il Quattrocento, soprattutto per quanto riguarda l’ambito artistico e letterario, e quindi, di riflesso anche quello politico-istituzionale, è abituato a vedere sminuito o sottodimensionato tutto quello che capita al di fuori di Firenze o, al limite, di Roma. Eppure, soprattutto negli ultimi anni, si è cercato di delineare da più parti la matrice dell’“Umanesimo o Rinascimento monarchico” che si sviluppò alla corte degli Aragonesi di Napoli: un Umanesimo o Rinascimento che presenta aspetti assolutamente propri e, magari, anche contrari o del tutto opposti a quelli che caratterizzano l’Umanesimo cosiddetto “civile” sviluppatosi in altri centri. Ma non per questo inferiore o di minore interesse. Anzi, il gruppo di CESURA in questi anni si è impegnato molto nel cambiare la direzione di alcune linee interpretative tradizionali, proponendo nuove categorie.
La speculazione politica che sorreggeva le strutture del potere “aragonese”, all’epoca di Alfonso il Magnanimo e dei suoi successori, nella fase della elaborazione concettuale, in quella della sua applicazione, o delle sue lingue, o della sua produzione letteraria doveva necessariamente essere basata su principî che tenessero conto delle origini e della dignità trascendente del sovrano, organizzando un sistema di virtù che si confacesse tradizionalmente a un re, ma che si sapesse, di volta in volta, adattare a situazioni di conquista, di consolidamento o di riaffermazione del potere, come avvenne negli anni di Alfonso e dei suoi successori. E per fare ciò si combinarono tradizioni iberiche e classico-umanistiche italiane, producendo innovazioni ideologiche e culturali straordinarie.
Finora, a proposito del Rinascimento napoletano, quando pure lo si voleva far uscire dall’oscurità dell’indistinto e del poco significativo, si è spesso parlato di “Rinascimento meridionale”, con un aggettivo che rientra nel campo semantico della geografia e che, di fatto, evoca alla mente uno schema centro-periferia (e il meridione è certamente periferia) che talvolta funziona, ma che, talaltra, è stato abusato, tanto da farlo ritenere ormai logoro. Gli studi prodotti nell’ambito di CESURA stanno cercando di dimostrare che è il momento di sostituire quel concetto di “Rinascimento meridionale” con altre rappresentazioni, forse altrettanto schematiche, ma a nostro avviso più pienamente funzionali, come, da un lato, quelle più neutre o mediane di “reti” o quelle più significative dal punto di vista ideologico, che fanno leva sulla costruzione politica: quella dell’Umanesimo, ovvero Rinascimento “monarchico” aragonese, appunto, è la rappresentazione che riteniamo più idonea.